di Silvano Spinelli
Sono stato in Nepal tantissime volte, quasi sempre con in testa una vetta da scalare. Non ho mai prestato molta attenzione a tutto quello che vedevo prima e dopo il campo base, nella mia testa bacata c’era tutto ciò che serviva solo per acclimatarsi, per abituarsi al cibo, dovevo solo star bene e non sprecare le energie.
Questa volta invece sono andato fino al campo base dell’Everest solo per camminare e nutrire gli occhi. Ho scoperto un nuovo mondo e mi sono accorto di quanto ho perso ei viaggi precedenti.
Il trekking nelle valli del Khumbu, fino ai piedi dei quattro ottomila che le chiudono a nord, è una delle esperienze più appaganti che un appassionato di montagna e di natura possa fare.
La storia e la civiltà degli sherpa offrono un approfondimento culturale continuo che ti aspetta dietro ogni angolo del sentiero, da non perdere.
Durante il trekking le ore di cammino non sono tantissime ed i dislivelli sono ben dosati dalle tappe. Se ci si dedica il giusto tempo (circa 15 giorni), si riescono a fare tappe di tutto confort. Lentamente ci si può abituare all’altitudine (mai estrema) in un modo naturale, in una maniera che nelle nostre Alpi non ci concediamo quasi mai. Si vive, si dorme e si mangia in quota in modo pacifico, ci muoviamo tutti solo a piedi ed i tempi assumono un’altra dimensione. Le uniche cose che convivono, nella valle sono solo due mezzi di trasporto, diametralmente opposti, i piedi e l’elicottero, ogni altro mezzo semplicemente non esiste.
In quei giorni ho visto gente di ogni genere, mai la folla, come la intendiamo noi.
Sicuramente si tratta di molte persone interessanti, personaggi che per dimensioni corporee mai mi sarei immaginato di trovare a quasi a 5000 metri. Ho scoperto che per molti stranieri, specie per gli orientali, muoversi con le proprie gambe per arrivare sotto l’Everest è una di quelle esperienze che vanno fatte almeno una volta nella vita. Devo dire che hanno veramente ragione, non solo per la vista dell’Everest, ma per tutto quello che c’è prima e dopo, monasteri variopinti e magici, montagne immense, senza fine, che ti seguono passo passo mostrandoti tutte le loro facce, villaggi ricchissimi di gente, fiera delle proprie origini, boschi, laghi e deserti ed infine ghiacciai, tanto grandi da sembrare mari. Successivamente vedi gli ottomila dal loro lato Sud, solitamente quello più alto, il Cho Oyu, l’Everest, il Lothse ed il Makalu. Da qui capisci perché gli ottomila sono differenti rispetto tutte le altre montagne, anche di 7000 metri. Magari non sono i più “arditi” ma di sicuro le dimensioni ed il fascino di queste montagne ti segnano dentro. Lassù in alto, oltre la soglia degli 8000 metri, sopra le nuvole, il vento e i jet stream invernali alzano le piume di neve anche quando più in basso c’è calma e sole. Se non lo hai mai provato di persona, riesci a capire lo stesso cosa deve essere quell’aria secca e “vuota” che lassù in alto brucia la gola e spacca le labbra, io me la porto ancora dentro.
Ho avuto la fortuna di scegliere l’organizzazione di Mountain Kingdom, che certamente ti facilita la vita, hai uno sherpa a tua disposizione che ti spiega tutto e ti guida passo passo, il tuo bagaglio ti segue o ti precede al lodge. Con MK si dorme in lodge semplici in alta quota a 5100 metri, sotto l’Everest. Nonostante l’altitudine, anche da lassù viene proposta sempre la colazione, il pranzo e la cena in un ristorantino caldo. A Namche Bazar, se vuoi, puoi anche concederti il lusso ed il relax di un vero bagno in una camera col piumino e di una sala da pranzo apparecchiata come in un vero e proprio museo dell’arte tibetana. Ammetto che dopo 10 e più giorni di trekking e di docce improvvisate, è difficile resistere alla tentazione!
Le parole servono a poco di fronte alle foto. Lo sherpa che ci ha accompagnato, Nuru, vive in un piccolo villaggio chiamato Portshe adagiato su un altopiano a 4000 metri proprio di fronte all’Ama Dablam. Nuru ha salito due volte questa montagna, bellissima, ma “bassa” per lui. Era appena tornato dalla sua seconda salita del Cho Oyu, un ottomila, senza ossigeno supplementare ed era in gran forma. A Gokyo ci ha presentato il suo amico, Tendi Sherpa, che ha scritto un libro sulla storia degli sherpa. Tendi Sherpa gestisce il lodge Lakefront View, alle spalle di un ghiacciaio gigantesco e di fronte un lago da sogno, in fondo alla valle la muraglia di ghiaccio e roccia del Cho Oyu, tremila metri più in alto.
Il lago alla sera si increspa per il vento, d’inverno gela e viene coperto da un metro di neve. Date le condizioni, le due ore, solite, di cammino da Gokyo al paese più vicino diventano più di una giornata. Da Gokyo, noi siamo arrivati col sole e ripartiti con il cielo blu, abbiamo lasciato lassù una parte del nostro cuore, soprattutto pensando alla vista mattutina dalla finestra della nostra cameretta.